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Le origini

 

Santa Veronica, alle sue origini, era molto probabilmente una cappella destinata alla devozione e al riparo non solo dei pastori e dei contadini del luogo, ma anche dei numerosi armigeri e serventi del Castello di Travaglia posto in cima alla Rocca.

La cappella, che si ritiene risalga al 1200, era compresa nella cinta di fortificaz’one del castello. Santa Veronica costituisce lo straordinario punto focale di un grande anfiteatro di borghi, di casali, di boschi e di montagne, e sembra naturalmente destinata ad essere luogo di culto, presente e visibile a tutti i fedeli di una comunità molto vasta.

Così come il castello, sul vertice della Rocca, era il centro visibile comune per le torri di difesa e i posti di guardia raccolti nel territorio circostante. Il borgo ai suoi piedi, sul lato interno verso levante, si chiama ancora oggi Castello ed era probabilmente, alle origini, una pertinenza del sistema fortificato.

 

Le presenze del culto nella zona "Rocca"

Oltre a Santa Veronica, nell'area fortificata della Rocca di Travaglia, esistevano, già dal 1300 almeno altre tre chiese: San Tommaso (sulla vetta), Santa Eufemia e Santi Celso e Nazario, sul versante verso S. Pietro. Di una chiesa di S. Eusebio de Castelo, citata in antichi documenti, non è rimasta alcuna traccia; mentre sappiamo che le chiese di S. Eufemia e Santi Nazario e Celso, furono demolite perchè ormai difficilmente riadattabili.

La navata

L'interno è estremamente semplice: un'unica breve navata, che porta i segni del suo progressivo avanzamento. Da una cappella iniziale, in corrispondenza dell'abside, si va ad un primo prolungamento, che arriva sino al punto dove la navata si allarga leggermente e, da questo punto, ad un secondo che raggiunge l'ingresso. Le arcate originali sono la prima e la terza. Le attuali seconda e quarta furono aggiunte con il rifacimento della facciata.

 

Il presbiterio e l'abside
Dalla navata, con un gradino, si sale al piccolo presbiterio (il luogo riservato all'officiante) con l'altare e l'abside semicircolare, che costituisce la parte più antica della costruzione. La parte alta dell'abside, a forma di semiconca, ne costituisce il catino, la parte bassa, con le sue pareti circolari, abbraccia l'altare.

 

Il catino dell'abside
E' la raffigurazione di Dio Padre benedicente in gloria, incorniciato da una ghirlanda di nuvole. Ai suoi lati vi sono le creature viventi e alate conosciute come "tetramorfo": quattro figure che simboleggiano gli evangelisti e ne portano il nome scritto sulle lunghe strisce (cartigli): una figura umana per Matteo, un'aquila per Giovanni, un vitello per Luca e un Leone per Marco. Le rappresentazioni simboliche sono tratte dall'Apocalisse di Giovanni. In questo la figura di Cristo è così descritta: " viene nelle nuvole.... e il capo e i capelli aveva bianchi come candida lana, come neve" Secondo una lettura che attende conferma dalla critica iconografica, saremmo davanti ad una inconsueta rappresentazione del "Cristo canuto" di Giovanni.

 

Gli Apostoli 
Gli affreschi sulla parete circolare dell'abside rappresentano i dodici Apostoli: Tommaso, Matteo, Giacomo, Bartolomeo, Simone, Giovanni, Pietro, Andrea, Taddeo, Filippo, Giacomo di Alfeo, Mattia (che ha preso il posto di Giuda Iscariota). Sotto le figure degli apostoli la parete è affrescata con fregi decorativi in forma di rete, simbolo dell'attività degli apostoli "pescatori di uomini".

L'altare con l'effigie Cristo. Sul fronte sotto la mensa c'è il volto di Cristo, che fa da centro al presbiterio. La figura affrescata rappresenta una "veronica". Le "veroniche" sono infatti un genere della pittura sacra del medioevo che ripeteva l'effigie autentica di Cristo (vera icona, immagine dal vero) così come la tradizione voleva fosse rimasta impressa sul lino con cui una pia donna deterse il volto di Cristo sulla strada del Calvario.

Le attribuzioni degli affreschi dell'abside. La prima attribuzione è del secolo scorso, da parte di un religioso e studioso locale, l'allora parroco di Castello.

 

L'altare con l'effigie Cristo
Sul fronte sotto la mensa c'è il volto di Cristo, che fa da centro al presbiterio. La figura affrescata rappresenta una "veronica". Le "veroniche" sono infatti un genere della pittura sacra del medioevo che ripeteva l'effigie autentica di Cristo (vera icona, immagine dal vero) così come la tradizione voleva fosse rimasta impressa sul lino con cui una pia donna deterse il volto di Cristo sulla strada del Calvario. Le attribuzioni degli affreschi dell'abside. La prima attribuzione è del secolo scorso, da parte di un religioso e studioso locale, l'allora parroco di Castello Valtravaglia, Giovanni Andrea Binda. Gli affreschi furono da lui attribuiti a Giovanni (da) Cossogno. Il parroco dichiarò anche di aver letto una data sui dipinti, ora non pi visibile: 1441. Questa attribuzione è oggi posta in dubbio dagli studiosi, che riconducono gli affreschi ai primi decenni del 1500, con autore ancora non identificato.

 

La Madonna di Loreto
Le due figure di santi. La figura più in alto, sulla parete a destra del presbiterio, rappresenta la Madonna di Loreto, ed è del 1604, dipinta probabilmente in concomitanza con i restauri suggeriti da Federico Borromeo. E' l'unico affresco rimasto interamente visibile dal 1604 ad oggi.

 

Le due figure di santi
Sulla parete destra del presbiterio troviamo due figure di santi, di epoca anteriore agli altri affreschi e quindi quattrocenteschi. Hanno particolari prospettici tra loro diversi: la donna è vista di tre quarti, l'uomo è visto frontalmente. Anche le comici e le aureole sono diverse.

 

La pia donna
La prima è una figura femminile che regge una "veronica". E' la raffigurazione della pia donna della tradizione, che ha asciugato il volto di Cristo sulla strada del Calvario.

 

Il Martire senza nome
La seconda figura rappresenta un Santo, un martire, come dimostra la palma del martirio che regge con una mano. Nell'altra reca un bastone con una croce gemmata. E' un giovane, in veste laica o di diacono. E' la figura più controversa e, per qualche aspetto, anche più storicamente interessante.

Prima identificazione:
S. Arialdo Arialdo fu, verso la metà dell'anno 1000, un acceso predicatore in Milano, contro il corrotto clero dominante e contro i nobili che lo appoggiavano.
La sua fazione era nota con il nome di Patarini (straccioni). Arialdo dopo aver attaccato e fatto fuggire i nobili da Milano, dovette a sua volta darsi alla fuga. Braccato e catturato fu rinchiuso nel Castello di Angera e quindi suppliziato nel 1066. I suoi resti furono nascosti nel Castello di Travaglia, ma ricercati e recuperati, furono da qui portati trionfalmente a Milano per essere sepolti in San Celso.

Seconda identificazione:
San Mamete, San Mamete martire di Cesarea, in Cappadocia, che con l'aiuto del bastone miracoloso trovò un Vangelo sepolto tra le rovine, che gli consenti di predicare tra i pagani.
Secondo la sua leggenda, nei boschi dove trovava rifugio, veniva visitato dagli animali selvatici e traeva sostentamento dal latte delle capre e delle cerve. Gli animali raffigurati nella colonna accanto avallerebbero questa interpretazione: vediamo un dromedario, un cervo, un cinghiale, una lince, una capra, un orso.

 

Modifiche e restauri
Tutti questi gruppi, ad eccezione delle Madonna di Loreto, in tempi e modi diversi, sono stati celati o ricoperti con scialbi (tinteggiature chiare, imbiancature), e intonacature. Nel 1913 le pareti dell'abside vennero nascoste da una finta grotta in pietre e cemento, dedicata al culto della Madonna di Lourdes.

La grotta era posta sopra l'altare, davanti alla parete con gli Apostoli. Il catino fu coperto da una doppia mano di tempera blu, che rappresentava il cielo. La grotta è stata rimossa nel 1995 per consentire il recupero e il restauro degli affreschi originali. La Madonna della grotta è conservata alla sinistra della navata d'ingresso. 

 

L'acquasantiera
La bella acquasantiera in pietra lavorata che vediamo oggi è stata collocata in epoca posteriore al 1596 e probabilmente proviene da una delle chiese (S. Celso o S. Eufernia) demolite per ordine dei Borromeo.

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